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“Grazie per questa accoglienza, sono davvero contento di essere qui, perché questa è una sezione straordinaria, con un nome e una storia importante. Qui ho degli amici, dei ragazzi con cui ho condiviso momenti importanti e difficili”. Questo il saluto iniziale di Roberto Rosetti, oggi Commissario CAN Pro, ospite d’eccezione per la Sezione di Roma 1, sorteggiato per la riunione tecnica avvenuta lo scorso 3 novembre.

Dopo il saluto del componente del Comitato Nazionale, Umberto Carbonari, il quale ha dedicato il suo pensiero a Luigi Rosato (arbitro della sezione di Lecce), vittima dell’ennesimo recente episodio di violenza, spazio dunque a Rosetti, che da portatore sano di esperienza ed entusiasmo, ha improntato la riunione sullo scambio di idee con i presenti in sala.

“Voglio parlare del mio pensiero è della mia filosofia di vita. Ho cominciato a 16 anni, perché sono esclusivamente un appassionato di calcio. Sembra un motivo banale, ma non lo è, perché se oggi siamo qui è perché siamo appassionati di calcio”; e con questa passione, Rosetti ha delineato brevemente la sua storia arbitrale, che vive quasi una seconda vita dopo i 3 anni di esperienza in Russia come responsabile degli arbitri: “Ho fatto di tutto per tornare a casa, e ringrazio Nicchi e il Comitato Nazionale per aver reso possibile il mio ritorno”.

“Nessun arbitro è infallibile”, pertanto il fatto di mettersi in discussione è importante. Rosetti ha dunque coinvolto la platea sul tema “autorevolezza e preparazione tecnica, attraverso i filmati del noto lungometraggio “Kill the referee”, e prendendo ad esempio gli arbitri Felix Brych ed Howard Webb. “L’arbitro moderno deve essere preparato tecnicamente e fisicamente, per quei 95 minuti deve dare tutto quello che ha, deve uscire dal terreno di gioco stanco, stremato. Deve conoscere il calcio, studiare le situazioni del calcio, solo così può prendere decisioni. Noi arbitri, nel nostro cervello, abbiamo dei file, ciascuno per qualunque situazione di gioco, e quando vediamo qualcosa colleghiamo quello che abbiamo visto con quello che già sappiamo”.

L’arbitro moderno deve aspettarsi qualcosa che è improbabile che accada. “Siamo bravi a gestire quello che riusciamo a preparare, perché ce l’aspettiamo. Il 95% di quello che succede ce lo aspettiamo. Ma bisogna porsi l’interrogativo su cosa succede dopo. Dobbiamo sempre prevedere quello che potrà succedere. A questo punto, l’arbitro moderno, deve saper prendere tempo, andare fino in fondo alla situazione, di modo che una situazione estrema venga sì affrontata in modo estremo, ma efficace. Bisogna fare di tutto per riuscire ad arrivare alla verità. Oggi l’arbitraggio va inserito in un contesto globale, noi siamo al servizio del calcio e dobbiamo proteggerne il suo valore sportivo”.

Rosetti ha poi aperto un’ampia parentesi sulla collaborazione arbitro-assistente, condotta attraverso l’esperienza propria e di un “suo” arbitro, il russo Vladislav Bezborodov. “L’arbitro moderno ed eccellente è credibile se riesce a far propria una decisione che inizialmente non è sua, ma dell’assistente, che deve avere solo certezze, per togliere qualunque dubbio e chiarire l’eventuale sensazione che l’arbitro ha in campo.”

La parola d’ordine di Roberto Rosetti è dunque “Nessun alibi. Mai scaricare le proprie colpe su qualcun altro. Tutto quello che accade in ogni parte del terreno di gioco è sempre un problema di tutti. Si decide bene e si sbaglia insieme. La terna arbitrale è forte se è squadra. Ed è un concetto che ho portato ai ragazzi della Can Pro; nei tre anni in Russia ho dovuto battere molto sul concetto di squadra arbitrale, perchè loro per natura sono molto individualistici, non si fidano l’uno dell’altro.”

Infine, Rosetti si è soffermato sull’integrità, concetto-cardine dell’arbitro moderno: “Integrità significa educati, rispettosi, essere persone che pongono attenzione ai particolari. Integrità significa salvaguardare la propria immagine, la propria riservatezza e discrezione, specie con riguardo ai social network e alla condivisione di fatti sportivi”. Essere un arbitro moderno, dunque, significa saper esprimere tutto il meglio di sè in campo e fuori, “cercare di fare il meglio momento dopo momento. È l’unico modo per raggiungere dei risultati”. Nunzio Grasso