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Fare il “Tutor” è come rileggere i “Promessi Sposi” del Manzoni, ma con il sapore agro-dolce della consapevolezza dell’esito della storia di Renzo e Lucia. Riprendere un bel libro, un’opera, dalle origini, dall’introduzione, dalle prime mosse, per riassaporarne la bellezza del linguaggio. Nei giorni in cui seguivo Matteo, che muoveva i primi passi all’interno di un terreno di gioco, ho avuto modo di rifarmi alcune domande. Quali sono le motivazioni iniziali che spingono un giovane che frequenta o sta per concludere la scuola media superiore, ad intraprendere la strada della formazione arbitrale? A volte è il sogno della partecipazione ad un evento sportivo di rilievo quale il poter arrivare a dirigere gare d’alto livello e ciò accade spesso (non sempre!) quando l’atleta si rende conto di non possedere i requisiti idonei per assurgere al successo.

A volte egli inizia più per un interesse immediato che per un concreto desiderio di fare l’arbitro.
Può bastare anche il venire a conoscenza dell’inizio di un “corso arbitri” per spingere un aspirante a frequentare il corso. A volte poi è il proprio orgoglio, la voglia di dire “ci sono anch’io!” a suscitare emozioni, il desiderio di emergere e di uscire dal quotidiano anonimato in un modo davvero particolare. Chi scrive osserva con preoccupazione il fatto che a tutt’oggi, nonostante gli sforzi delle campagne di comunicazione di coinvolgimento, i ragazzi non sembrano apprezzare significativamente la proposta formativa che deriva dalla scelta d’intraprendere la strada dell’arbitro di calcio, e così il reclutamento dei giovani diventa difficile, grave e preoccupante. Ma anche quest’anno il miracolo è compiuto! I nuovi colleghi stanno muovendo i primi passi o meglio… stanno fischiando i primi falli a simbolo e conferma della grandezza dell’impossibile!

“Quel ramo del lago di Como…” ovvero “quel ramo del lago della Petriana…” perché così era diventato il lago… pardon… il campo in cui Matteo ha diretto la sua prima gara, che ha visto nuotare… o meglio contendersi la vittoria la Petriana e la Lazio di fronte ad un folto gruppo di “supporters” (così mi pare che si dica nel linguaggio del giornalismo sportivo). A bordo campo, il “Tutor” sotto l’ombrello controlla i preliminari ed il corretto svolgimento della gara. Da una parte l’allenatore dei locali urla ai propri ragazzi di pressare e di sganciarsi; dall’altra l’allenatore ospite s’imbestialisce nel vedere i propri calciatori non eseguire gli schemi assegnati. E io? Io in mezzo a loro a bramare, a palpitare e a fare il tifo per l’arbitro, per Matteo. Dai Matteo! Corri! Stai più decentrato! Attento! E’ fuorigioco, fischia adesso, ora lascia giocare! Bravo Matteo corri, corri, corri fino alla tua meta, corri fino a diventare un uomo, un vero uomo, perché abbiamo tremendamente bisogno di uomini che sappiano anche essere dei buoni arbitri. Ora non ti fermare più, corri a perdifiato, guardati nel campo come Narciso, come se fosse il tuo unico specchio. Poi, puoi finalmente lasciarti andare e gridare “Sono un arbitro, ci sono anch’io e voglio arrivare fino alla fine”. I “Bravi” non mi fanno paura, io non sono “Don Abbondio”.